Contesti e organizzazioni inclusive

di Giovanni Sapucci

In un mio precedente intervento su EFFETA [1], parlando dell’esperienza di “sostegno diffuso” al Centro Educativo Italo Svizzero – CEIS – di Rimini, dicevo che una scuola, un servizio educativo che pongono al centro della loro attenzione i bambini con maggiori difficoltà (disabilità, comportamento, ecc) sono una scuola, un servizio educativo migliori per tutti.

Questa affermazione trova le sue ragioni nella costatazione che i bambini con maggiori difficoltà costringono gli insegnanti, gli educatori e l’istituzione educativa che vogliano realmente accoglierli a ricercare continuamente i modi, i tempi, gli strumenti operativi e tecnici più efficaci per aiutarli a superare e/o gestire le difficoltà e per poter sviluppare al massimo le loro potenzialità.

Questa ricerca continua forma, sostiene e rinforza una cultura e una pratica pedagogica orientate alla individualizzazione e alla personalizzazione dell’intervento educativo e formativo a condizione che esse si realizzino nel contesto di un gruppo e di una comunità educativa.

Una cultura e una pratica di cui hanno diritto tutti i bambini per poter esprimere pienamente la loro individualità. Saper cogliere e valorizzare le differenze di ciascuno dei bambini è la condizione indispensabile per attuare un ambiente educativo accogliente e, soprattutto, efficace, capace di cogliere e far emergere le motivazioni e gli interessi di ciascuno, energia e motore di apprendimenti e nuove acquisizioni.

Questo modo di intendere il lavoro educativo nei servizi è la condizione per poter parlare  concretamente di “ambiente educativo inclusivo”, nel senso che tutte le differenze hanno lo spazio necessario per esprimersi ed essere valorizzate come patrimonio di un gruppo all’interno del quale ognuno sente di poter esprimere la propria identità e che, proprio attraverso essa, è parte del gruppo stesso.

Un ambiente inclusivo è tale perché ognuno riceve le risposte ai propri bisogni individuali in un contesto in cui gode dei diritti e delle possibilità di tutti, dove ognuno è colto nella sua integralità ecologica, un ambiente che aiuta concretamente a convivere anche con differenze “difficili” che spesso lo sono solo perché non ci siamo abituati. Quanto prima nella vita abbiamo l’opportunità di convivere con tali differenze quanto meno avremo probabilità di sviluppare “diffidenze e paure” ingiustificate.

Un ambiente educativo inclusivo per essere tale ha bisogno di essere sostenuto e collocato all’interno di una istituzione e di una struttura organizzativa coerenti con un approccio inclusivo, in cui prevalgano la condivisione delle scelte, delle responsabilità, tutte orientate alla realizzazione di un progetto comune. 

Le istituzioni, anche quelle educative, tendono a “specializzarsi” per corrispondere ad esigenze di efficacia al minor costo, con la conseguenza di delimitare il proprio campo d’azione e la propria specificità.

Un altro aspetto che sembra connotare sempre più frequentemente le istituzioni educative, è il prevalere degli aspetti formali e burocratici su quelli  pedagogici. La scuola del nostro paese ne è un esempio preoccupante.

Le istituzioni educative corrono costantemente il rischio di far prevalere una dimensione burocratica fine a se stessa che, in quanto tale, si struttura per una rigida divisione delle responsabilità con un unico obiettivo concreto: lo scarico delle responsabilità individuali. Un percorso educativo di qualità, al contrario, promuove l’assunzione delle responsabilità personali.

Infine, un  ulteriore connotato delle istituzioni sembra fare riferimento ad un approccio di governo manageriale dall’alto, di impronta prettamente economica, per rispondere a presunte esigenze di efficienza dell’istituzione. Una via semplicistica che produce quasi sempre danni e che viene adottata quando non si è in grado o non si vuole attivare un’azione di condivisione e corresponsabilizzazione verso il progetto educativo  di tutti gli attori, in particolare gli insegnanti/educatori.

Se questi processi non vengono governati, e purtroppo spesso non lo sono, da una volontà e da una cultura pedagogica inclusiva, contribuiscono a ridurre e spesso ad annullare le possibilità e le condizioni per una dinamica delle relazioni e delle mediazioni fra gli individui, bambini ed adulti, indispensabili ad un percorso educativo e formativo in grado di perseguire l’obiettivo di valorizzare le diversità come condizione per una crescita culturale e personale di qualità.

Un percorso educativo e formativo capace di perseguire questi obiettivi ha bisogno di insegnanti ed educatori in grado di incontrare e di ascoltare i bambini di cui si occupano, di essere flessibili, di saper riflettere continuamente sul proprio operato, sui bambini e le loro risposte agli stimoli, saper riformulare e riorientare la propria azione educativa e formativa accogliendo e coinvolgendo i bambini nella conquista di nuove capacità e competenze. Per riuscire ad operare in questo modo, devono essere collocati all’interno di una struttura organizzativa che, pur all’interno di regole, ruoli e funzioni chiari, fornisca loro i necessari supporti competenti e lo spazio per operare con la necessaria libertà all’interno di progetti condivisi.

Tutta l’organizzazione, amministrativa, manageriale, organizzativa del lavoro, di un servizio educativo che voglia valorizzare le diversità e, quindi, essere inclusivo, richiede che tutte le componenti rispondano consapevolmente a tale necessità.

L’apparato amministrativo dovrebbe assicurare la propria competenza specifica per interpretare le norme (nel nostro paese tante e spesso poco chiare e contraddittorie), in modo formalmente corretto ma cercando costantemente le modalità più funzionali alla realizzazione del progetto educativo.

La componente gestionale del servizio dovrebbe operare per assicurare i supporti al lavoro degli insegnanti/educatori perché possano operare nel modo più efficace per la realizzazione del progetto e controllare che l’operato degli insegnanti segua le metodologie e le modalità concordate.

L’organizzazione del lavoro, innanzitutto degli insegnanti, deve essere tale da corrispondere alle necessità del progetto educativo. Ad esempio gli orari di lavoro, pur nel rispetto dei contratti di lavoro, devono essere articolati in modo tale da rispondere in modo funzionale alle esigenze del progetto, comprese quelle che richiedono tempo sufficiente per il continuo confronto, la riflessione collegiale, la riformulazione delle programmazioni, la formazione continua, anche se questo a volte richiede una loro articolazione diversa dalle “consuetudini” e da presunti e/o malintesi “diritti acquisiti”. Ad esempio, considero molto grave la scelta, fatta negli anni passati da molti contratti di lavoro sotto la pressione degli insegnanti e delle organizzazioni sindacali, di restringere il monte ore da dedicare alle attività di programmazione, riflessione, a quelle per la cura delle relazioni con i genitori, alla formazione, ecc.


[1]Integrazione scolastica di bambini disabili e sostegno diffuso”. EFFETA  n° 1 dicembre 2015